lunedì 25 agosto 2014

Evola al centro del dibattito culturale (di Giovanni Sessa)

Da tempo andiamo sostenendo l’assoluta centralità, per la comprensione dell’attuale momento storico-politico dell’opera di Julius Evola. La nostra tesi trova conferma nei lavori che, nell’ultimo periodo, sono stati prodotti sul pensatore tradizionalista. Partiamo da un primo significativo esempio, il libro di Paolo Rizza, Julius Evola: Antimoderno o ultramoderno? edito da Solfanelli (per ordini: edizionisolfanelli@yahoo.it 335-6499393, euro 9,00). Le intenzioni dell’autore che, in questo testo, ripropone motivi polemici del tradizionalismo cattolico, sono chiarite in prefazione da Primo Siena: i limiti della Tradizione evoliana sarebbero ravvisabili nelle aperture “nichiliste” del filosofo, evidenti in Cavalcare al tigre, che lo avrebbero indotto ad ispirare, attraverso i rinvii alla “Via della Mano Sinistra” e alla infrazione delle regole morali che essa presupporrebbe, anche in ambito sessuale, un “anarchismo” di destra pericoloso ed ambiguo. La sua sarebbe una Tradizione destoricizzata e disumanizzata, incapace di riconoscere il valore dell’autentica trascendenza manifestatosi in Occidente nella rivelazione cristiano-cattolica.
     Sulla scorta di simili premesse, Rizza rintraccia la genesi del percorso evoliano nella fase artistica giovanile, in particolare nel momento dadaista e nel successivo periodo filosofico transidealista, centrato sul tentativo di superare il limite gnoseologico conseguito dal sistema gentiliano. L’Individuo assoluto è latore della Libertà-Potenza, esito estremo del solipsismo moderno. Il lettore avrà compreso che l’autore non è tenero nei suoi giudizi, è un avversario di Evola, sia pure onesto e rispettoso, a differenza di altri che fanno scuola nella stessa area culturale. Allora, per quale ragione, ha sentito il bisogno di confrontarsi con Evola? Perché il pensiero di tradizione evoliano è imprescindibile riferimento per quanti vogliano tornare a pensare a destra (se di destra oggi è ancora il caso di parlare).
     Per quanto ci riguarda, bastino qui pochi ma chiari rilievi. Gli argomenti utilizzati nel libro, debbono essere ribaltati di segno: ciò che viene giudicato negativo, per noi è assolutamente positivo. Infatti, è stata la formazione giovanile a consentire ad Evola, dopo l’approdo alla Tradizione, una lettura non meramente contemplativa della stessa, ma attiva, e ciò rende la sua posizione attuale. Evola non ha mai “aperto” al nichilismo, si è sempre mosso, in termini esistenziali e politici, in funzione ultranichilistica. In sintonia, come riconosce Rizza stesso, con Jünger e la Rivoluzione Conservatrice. E’ vero, Evola è lontano dalla trascendenza cristiana, ma la sua trascendenza immanente, che a dire di Rizza si dà nelle “Vie realizzative”, non ha nulla a che fare con soggettivismo, ateismo e gnosticismo (non erano altri, nel mondo antico, ad essere oggetto di questa accusa, per la loro svalutazione della natura?). Inoltre la metafisica del sesso di Evola, fondata sull’idea della sessuazione spirituale, è il totalmente altro del pansessualismo contemporaneo, dell’amoralismo e della diffusa tendenza all’unisex. La filosofia dell’eros del tradizionalista indica una via per uscire dallo stato attuale delle cose. L’uomo di Evola ripropone l’antropologia della tradizione classica, platonico-aristotelica, uomo giusto perché la sua psiche è ordinata dalla dimensione noetica, in sintonia con i ritmi del cosmo. Il filosofo romano, pur tenendo conto dei tempi lunghi dei grandi cicli, invita a non arrendersi, ad agire in quanto l’Origine è sempre possibile: in questo egli è pensatore europeo del Nuovo Inizio.

   Anche Fernando Massimo Adonia fa i conti con Evola a quarant’anni dalla scomparsa, nel volume Julius Evola. Un pensiero per l’Età Oscura, edito recentemente da Tipheret, con prefazione di M. Iacona. L’autore sostiene che lo scritto deve essere considerato una sorta di invito rivolto al mondo accademico, affinché affronti gli aspetti maggiormente significativi della produzione evoliana, non limitandosi a quelli “stucchevoli” (p. 17). Per Adonia, Evola è fondamentalmente uno   storico del pensiero esoterico (p. 10). Il libro, nella sua prima parte, presenta un’utile ricostruzione delle fasi del percorso evoliano, in cui l’autore si serve de Il Cammino del Cinabro e della principale bibliografia in argomento. Ci permettiamo di dissentire solo su alcuni punti di questa ricostruzione. Innanzitutto, ci pare eccessivo negare l’autonomia della posizione evoliana in tema di razzismo. La razza dello spirito è una realtà teorica che si diversifica dalle posizioni coeve maturate in Germania sul modello del razzismo biologista, in quanto presuppone la riproposizione dell’antropologia classica. La cosa è stata ampiamente documentata da molti studiosi, tra essi, a più riprese, del tema si è occupato Lami (cfr. J. Evola, Rassegna Italiana (1933-1952), a cura di G. F. Lami, Fondazione Evola, i libri del Borghese, Roma 2012, pp. 7-45), ma anche lo stesso De Felice. Pertanto, ci pare riduttivo asserire: “Lo scheletro razzista di Evola si vede bene, inutile cercare di nasconderlo” (p. 55).
     D’altro lato, Adonia fa giustamente rilevare l’influenza esercitata su Evola da Guénon, definendo il suo approdo al pensiero tradizionalista “…totale e definitivo” (p. 82). In realtà     Evola, come ricorda l’autore, ha mantenuto, su molti temi, posizioni discordanti rispetto a quelle dell’esoterista francese: sono tali differenze a renderlo un pensatore oggi stimolante. L’esperienza evoliana non può essere relegata ad una sorta di marginale “periferia” del guénonismo: il pensiero di tradizione del filosofo romano è esemplare in quanto è una filosofia dell’immemoriale che si fa filosofia futura. La parte che abbiamo maggiormente apprezzata del libro, è quella in cui Adonia, attraverso l’esegesi di Faivre, ricostruisce il percorso carsico dell’idea di Tradizione in Occidente: dal neoplatonismo rinascimentale ad Antonio Steuco, da Court de Gébelin a Lessing ed Herder,  sostenitore dell’esistenza del geroglifico immaginario. Questo file rouge mostra la centralità della filosofia in tale trasmissione.

     Condividiamo la richiesta di libera critica, da esercitare anche nei confronti di personaggi di grande spessore, che pare emergere dalle pagine di questo libro, ma non possiamo essere d’accordo con l’affermazione che l’essenza della proposta evoliana sia riducibile al “vuoto di speranza” (p. 157). A differenza dell’autore, alla domanda che egli pone a conclusione del testo: “L’intero impianto…evoliano riesce a rispondere ai grandi interrogativi che affliggono da sempre l’umanità, quali la morte, il male, la malattia e la desolazone? (p. 159), noi rispondiamo affermativamente. L’importante è riuscire a rintracciare le risposte oltre ogni letteralismo.

Giovanni Sessa