Da tempo andiamo sostenendo
l’assoluta centralità, per la comprensione dell’attuale momento
storico-politico dell’opera di Julius Evola. La nostra tesi trova conferma nei
lavori che, nell’ultimo periodo, sono stati prodotti sul pensatore
tradizionalista. Partiamo da un primo significativo esempio, il libro di Paolo
Rizza, Julius Evola: Antimoderno o
ultramoderno? edito da Solfanelli (per ordini: edizionisolfanelli@yahoo.it 335-6499393,
euro 9,00). Le intenzioni dell’autore che, in questo testo, ripropone motivi
polemici del tradizionalismo cattolico, sono chiarite in prefazione da Primo
Siena: i limiti della Tradizione evoliana sarebbero ravvisabili nelle aperture
“nichiliste” del filosofo, evidenti in Cavalcare
al tigre, che lo avrebbero indotto ad ispirare, attraverso i rinvii alla
“Via della Mano Sinistra” e alla infrazione delle regole morali che essa
presupporrebbe, anche in ambito sessuale, un “anarchismo” di destra pericoloso
ed ambiguo. La sua sarebbe una Tradizione destoricizzata e disumanizzata,
incapace di riconoscere il valore dell’autentica trascendenza manifestatosi in
Occidente nella rivelazione cristiano-cattolica.
Sulla scorta di simili premesse, Rizza
rintraccia la genesi del percorso evoliano nella fase artistica giovanile, in particolare
nel momento dadaista e nel successivo periodo filosofico transidealista, centrato sul tentativo di superare il limite
gnoseologico conseguito dal sistema gentiliano. L’Individuo assoluto è latore della
Libertà-Potenza, esito estremo del solipsismo moderno. Il lettore avrà compreso
che l’autore non è tenero nei suoi giudizi, è un avversario di Evola, sia pure
onesto e rispettoso, a differenza di altri che fanno scuola nella stessa area
culturale. Allora, per quale ragione, ha sentito il bisogno di confrontarsi con
Evola? Perché il pensiero di tradizione evoliano è imprescindibile riferimento
per quanti vogliano tornare a pensare a destra (se di destra oggi è ancora il
caso di parlare).
Per
quanto ci riguarda, bastino qui pochi ma chiari rilievi. Gli argomenti
utilizzati nel libro, debbono essere ribaltati di segno: ciò che viene
giudicato negativo, per noi è assolutamente positivo. Infatti, è stata la
formazione giovanile a consentire ad Evola, dopo l’approdo alla Tradizione, una
lettura non meramente contemplativa della stessa, ma attiva, e ciò rende la sua
posizione attuale. Evola non ha mai “aperto” al nichilismo, si è sempre mosso,
in termini esistenziali e politici, in funzione ultranichilistica. In sintonia, come riconosce Rizza stesso, con Jünger
e la Rivoluzione
Conservatrice. E’ vero, Evola è lontano dalla trascendenza
cristiana, ma la sua trascendenza
immanente, che a dire di Rizza si dà nelle “Vie realizzative”, non ha nulla
a che fare con soggettivismo, ateismo e gnosticismo (non erano altri, nel mondo
antico, ad essere oggetto di questa accusa, per la loro svalutazione della natura?).
Inoltre la metafisica del sesso di
Evola, fondata sull’idea della sessuazione spirituale, è il totalmente altro del pansessualismo
contemporaneo, dell’amoralismo e della diffusa tendenza all’unisex. La filosofia dell’eros del tradizionalista indica una via
per uscire dallo stato attuale delle cose. L’uomo di Evola ripropone
l’antropologia della tradizione classica, platonico-aristotelica, uomo giusto perché la sua psiche è ordinata dalla dimensione noetica, in sintonia con i ritmi
del cosmo. Il filosofo romano, pur tenendo conto dei tempi lunghi dei grandi
cicli, invita a non arrendersi, ad agire in quanto l’Origine è sempre possibile: in questo egli è pensatore
europeo del Nuovo Inizio.
Anche
Fernando Massimo Adonia fa i conti con Evola a quarant’anni dalla scomparsa,
nel volume Julius Evola. Un pensiero per
l’Età Oscura, edito recentemente da Tipheret, con prefazione di M. Iacona.
L’autore sostiene che lo scritto deve essere considerato una sorta di invito
rivolto al mondo accademico, affinché affronti gli aspetti maggiormente
significativi della produzione evoliana, non limitandosi a quelli
“stucchevoli” (p. 17). Per Adonia, Evola è fondamentalmente uno storico
del pensiero esoterico (p. 10). Il libro, nella sua prima parte, presenta
un’utile ricostruzione delle fasi del
percorso evoliano, in cui l’autore si serve de Il Cammino del Cinabro e della principale bibliografia in
argomento. Ci permettiamo di dissentire solo su alcuni punti di questa
ricostruzione. Innanzitutto, ci pare eccessivo negare l’autonomia della
posizione evoliana in tema di razzismo. La razza dello spirito è una realtà teorica che si diversifica dalle posizioni
coeve maturate in Germania sul modello del razzismo biologista, in quanto
presuppone la riproposizione dell’antropologia classica. La cosa è stata
ampiamente documentata da molti studiosi, tra essi, a più riprese, del tema si
è occupato Lami (cfr. J. Evola, Rassegna
Italiana (1933-1952), a cura di G. F. Lami, Fondazione Evola, i libri del
Borghese, Roma 2012, pp. 7-45), ma anche lo stesso De Felice. Pertanto, ci pare
riduttivo asserire: “Lo scheletro razzista di Evola si vede bene, inutile
cercare di nasconderlo” (p. 55).
D’altro lato, Adonia fa giustamente
rilevare l’influenza esercitata su Evola da Guénon, definendo il suo approdo al
pensiero tradizionalista “…totale e definitivo” (p. 82). In realtà Evola, come ricorda l’autore, ha mantenuto,
su molti temi, posizioni discordanti rispetto a quelle dell’esoterista francese:
sono tali differenze a renderlo un pensatore oggi stimolante. L’esperienza
evoliana non può essere relegata ad una sorta di marginale “periferia” del
guénonismo: il pensiero di tradizione
del filosofo romano è esemplare in quanto è una filosofia dell’immemoriale che
si fa filosofia futura. La parte che abbiamo maggiormente apprezzata del libro,
è quella in cui Adonia, attraverso l’esegesi di Faivre, ricostruisce il
percorso carsico dell’idea di Tradizione in Occidente: dal neoplatonismo
rinascimentale ad Antonio Steuco, da Court de Gébelin a Lessing ed Herder, sostenitore dell’esistenza del geroglifico immaginario. Questo file rouge mostra la centralità della
filosofia in tale trasmissione.
Condividiamo la richiesta di libera critica,
da esercitare anche nei confronti di personaggi di grande spessore, che pare
emergere dalle pagine di questo libro, ma non possiamo essere d’accordo con
l’affermazione che l’essenza della proposta evoliana sia riducibile al “vuoto
di speranza” (p. 157). A differenza dell’autore, alla domanda che egli pone a
conclusione del testo: “L’intero impianto…evoliano riesce a rispondere ai
grandi interrogativi che affliggono da sempre l’umanità, quali la morte, il
male, la malattia e la desolazone? (p. 159), noi rispondiamo affermativamente.
L’importante è riuscire a rintracciare le risposte oltre ogni letteralismo.
Giovanni Sessa