sabato 25 novembre 2006

RECENSIONE su Corrispondenza Romana

Corrado Gnerre (docente di Storia dell’utopia in età moderna e contemporanea all’Università Europea di Roma e di Storia delle religioni all’Istituto Superiore di Scienze Religiose Redemptor hominis di Benevento, nonché collaboratore di Radici Cristiane) ha dato recentemente alle stampe un sintetico saggio dal titolo Le radici dell’utopia.
In questo libro Gnerre dimostra quanto l’idea di utopia non sia affatto innocua, analizzando le cause per cui essa abbia sempre generato distruzione e morte ogni qual volta si sia cercato di realizzarla, dal Terrore rivoluzionario francese all’inferno cambogiano.
Gnerre individua ben quattro “radici” dell’idea di utopia: nella prima l’utopia si configura come un’idea fondata su una concezione dell’uomo che è contro l’umano e la libertà. Nella seconda come un’idea basata su una concezione della storia contro l’imponderabilità e contro l’azione.
Nella terza come un’idea fondata su una concezione del tempo contro l’eterno e contro l’occasione. Infine nella quarta come un’idea basata su una concezione di esistenza contro il desiderio. Insomma l’idea di utopia è strutturalmente antiumana: perché si pone volutamente al di fuori dell’ordine naturale e perché deve necessariamente poggiare su un vero e proprio delirio dell’immaginazione.
La conclusione del libro appare chiara fin da subito: tra l’idea di utopia e la filosofia naturale e cristiana esiste un’irrisolvibile incompatibilità. Il cristianesimo non solo non è un’utopia, ma anzi ne costituisce il vero antidoto. [Corrado Gnerre, Le radici dell’utopia, Edizioni Solfanelli, Chieti 2006, pp. 96, € 8,00].


http://www.corrispondenzaromana.it/cultura/le-radici-dell-utopia.html

sabato 21 ottobre 2006

Utopia, rovinosa tentazione (Secolo d'Italia)

In un saggio di Corrado Gnerre la radiografia dell’ideologismo nel ’900
di Matteo Simonetti



Ecco un’altra pubblicazione interessante da parte della Solfanelli. La serie di brevi saggi della casa editrice - che pubblica autori legati al mondo del conservatorismo come Joseph De Maistre o Giuliano Ferrara, ma anche postmarxisti poco allineati, come Franco Ferrarotti - si è da poco arricchita del libro Le radici dell’utopia di Corrado Gnerre. L’autore è senz’altro uno dei maggiori conoscitori dell’argomento in questione, visto che insegna addirittura Storia dell’utopia presso l’Università Europea di Roma.

Curiosando un po’ tra le pubblicazioni e la biografia di Gnerre, si scopre come questa attenzione per l’utopia, o meglio, per la critica all’utopia, si sposi ad una “militanza” cristiana che si concretizza in approfondite indagini sia storiche che filosofiche. Oltre a questa cattedra “politica” infatti, Gnerre occupa quella di Storia delle Religioni preso l’Università Teologica dell’Italia Meridionale.

Il tema centrale di questo suo ultimo libro è, quasi di conseguenza, la dimostrazione di come il pensiero cristiano si proponga quale naturale antidoto al morbo dell’utopia, contrapponendosi ad esso sin dalle fondamenta. Gnerre individua una vera e propria genealogia dell’utopia per poi soffermarsi su quanto grande sia la distanza con il cristianesimo.

Prima di addentrarci nel contenuto del libro, sarà importante precisare che l’autore maggiormente citato da Gnerre, vero faro che illumina l’insieme delle pagine, è Eric Voegelin, e che anche Mircea Eliade, il grande studioso rumeno delle religioni, ha una certa importanza come punto di riferimento. Le due grandi figure sono in compagnia di una coppia di pensatori più recenti: Augusto del Noce e Massimo Introvigne. Politicamente ci troviamo allora in una regione abbastanza identificabile, soprattutto tenendo conto che ad essere citati come propri antagonisti intellettuali sono Karl Marx e tutta l’allegra compagnia di illuministi e enciclopedisti.

Il discorso di Gnerre si snoda attraverso brevi e puntuali paragrafi, che rispondono a precise questioni e consentono una lettura chiara, agevole e piacevole.

Gnerre si presenta sin dalla premessa come pensatore antimoderno nella più felice delle accezioni del termine: «L’utopia esiste da quando esiste l’uomo, ma da un punto di vista della storia del pensiero, una risposta si può abbozzare. L’idea di utopia trova il suo terreno fertile nell’idea stessa di modernità». Ad essere sottolineato è quel carattere “resistenziale” del cristianesimo che oggi è apprezzato come forse unica arma possibile, anche dalle schiere dei cosiddetti “atei devoti”, da contrapporre allo strapotere della tecnica che trascende l’uomo e dal suo corrispettivo filosofico che è il nichilismo. In effetti, la contrapposizione con “l’umano” è forse la più importante delle caratteristiche che Gnerre assegna all’utopia. Se non la più importante, è però questa la prima, in senso cronologico, delle radici che Gnerre individua. Accanto ad essa troviamo: un’idea di storia contro l’imponderabilità e l’azione; un’idea di tempo contro l’eterno e l’occasione; un’idea di esistenza contro il desiderio.

Quella che ne emerge è un’utopia che non è tanto occasione politica, sociologica, momento storico, quanto sostrato esistenziale, visione del mondo, addirittura coagulo di sensazioni e portati psichici.

Non posso che essere d’accordo con questa impostazione di Gnerre, tanto più che, per aprire un’interessante parentesi, i risultati da lui raggiunti sono in qualche modo vicini all’analisi estetico-filosofica della musica contemporanea in un mio libro di qualche anno fa, Stasera dirige Nietzsche. La musica tra filosofia e politica. In effetti, la figura del musicista seriale coincide perfettamente con quella dell’utopista, essendo accomunate dalla stessa matrice intellettualistica, gnostica, meccanicistica, addirittura masochistica. Molti altri fecondi e calzanti parallelismi sarebbero possibili tra questi due mondi apparentemente distanti, quello della musica e quello della politica, ma tale discorso ci svierebbe.

Ritornando all’utopista di Gnerre, questi è chi rifiuta il reale a priori, e lo nega nell’incapacità di correggerlo, cadendo in una sorta di delirio di potenza. Non sorprende allora che il bersaglio polemico principale dello studioso delle religioni sia proprio l’atteggiamento prometeico, iperrazionale, essenzialmente antiumano. È qui che s’inserisce il valore dell’esperienza cristiana, la quale richiama alle idee di fallibilità, di peccato, di limite, e a quella di perfezione solo come irraggiungibile sprone (la santità). Queste caratteristiche conducono necessariamente a un “realismo” politico che mette al riparo da ogni utopia. Gnerre mostra poi che l’utopia cresce dove è forte l’idea di necessità assoluta, dove non vi è spazio né per l’imponderabilità, né per la libertà, né per la volontà, concetti che sono appunto cardini del pensiero cristiano.

Possiamo riassumere tutte queste caratteristiche positive nella cristiana “concezione creaturale” dell’uomo, che colora quest’ultimo di un’umiltà che, appunto, fa a pugni con l’utopia.

Sin qui, ed è moltissimo, non si può che essere d’accordo con Gnerre. I motivi di divergenza sono essenzialmente solo due. Il primo è l’interpretazione del pensiero di Nietzsche, che per Gnerre rimane il campione del nichilismo e della “filosofia col martello”, non rilevando adeguatamente la parte “fondazionale” del filosofo tedesco, quella sottolineata ad esempio da Robert Reininger e evidentissima soprattutto in Aurora. L’interpretazione dell’autore è senz’altro più genuina di quella dei postmoderni, impegnati in incredibili opere di manipolazione, ma sembra eccessivamente sbrigativa, forse a causa dell’inequivocabile ostilità nietzschiana al cristianesimo. Il secondo motivo di divergenza, strettamente connesso al primo, è la mancanza di un’attenzione “quantitativa” per il concetto di utopia: chi stabilisce cosa è umano e possibile e quindi non utopico, a partire dalla “misura della volizione”? Un esempio: sentiamo spesso dire che una civiltà non preda del meticciato, che si conserva fiera delle sue radici, della sua cultura, del suo aspetto, è oggi pura utopia. Sentiamo dire cioè che non c’è scampo alla multiculturalità, all’omologazione o alla forzata convivenza. In questo caso cosa o quanto è utopia? Cosa o quanto è realismo?

Nella critica all’utopia deve essere salvata allora la sua enorme spinta ideale, che è tuttuno con la creatività. Davvero l’uomo è libero di farsi come vuole e il suo limite è una sacralità che può anche non coincidere con una religiosità concretizzata. Questo insegnamento ancora inascoltato di Nietzsche, il dovere-piacere di crearci da noi i nostri valori, non può essere buttato con la critica all’utopia come il bambino con i panni sporchi. Se la chiave di questo salvataggio è un’operazione di giudizio e creazione estetici, allora occorre il coraggio di dire che infinitamente più bello è un qualsiasi anelito ideale, magico, strampalato, irriguardoso, rispetto ad un tirare a campare tutto democristiano. Per rimanere nel panorama cristiano, Unamuno docet.














sabato 21 ottobre 2006 | Secolo d’Italia

sabato 13 maggio 2006

Novità editoriale: LE RADICI DELL'UTOPIA

L’utopia è un’idea innocua? Assolutamente no. Essa ha sempre generato sangue…e non a caso.
In questo libro si mettono in evidenza quelle che sono le radici filosofiche dell’idea di utopia.
Ne viene fuori un risultato che pochi conoscono: l’utopia è strutturalmente antiumana. Per due motivi: il primo, perché si pone volutamente al di fuori dell’ordine naturale; il secondo, perché deve necessariamente poggiare su un vero e proprio delirio dell’immaginazione. Da qui un’incompatibilità irrisolvibile tra l’idea di utopia e la filosofia naturale e cristiana.


Corrado Gnerre
LE RADICI DELL'UTOPIA
L’incompatibilità tra utopia e giudizio cristiano
Edizioni Solfanelli
[ISBN-88-89756-12-8]
Pagg. 96 - € 8,00

http://www.edizionisolfanelli.it/radiciutopia.htm