sabato 15 dicembre 2007

L'Unione Europea e il "caso Turchia" (di Omar Ebrahime)


C’è un dossier sui tavoli della Commissione europea che scotta e che nessuno vuole toccare; è quello di uno Stato candidato all’ingresso nell’UE: la Turchia. Il Paese che si affaccia sul Mediterraneo ha infatti inoltrato da tempo istanza per entrare a far parte del club “Europa” ma le difficoltà che una simile prospettiva apre sul Vecchio Continente sono di non poco rilievo e l’iter si preannuncia lungo. A far luce sul tema è arrivato un agile volume di Alberto Rosselli, studioso di storia moderna, contemporanea e militare, esperto delle vicende geopolitiche della penisola balcanica, che ormai da anni segue il “caso Turchia” con attenzione. Il testo s’intitola Sulla Turchia e l’Europa (Solfanelli, Chieti, pagine 162, euro 10,00) ed è un’interessante summa dell’attuale stato dell’arte, giuridico e politico, per chi vuol saperne di più sul processo d’integrazione e su un Paese che tanto fa discutere.
Si tratta di un’opera a 360 gradi, che può essere letta da chiunque e non solo da specialisti. La prima parte ha un taglio storico (vengono affrontate le querelle che hanno segnato i rapporti, non sempre felici, tra Turchia e Vecchio Continente dal Settecento ai giorni nostri) e una seconda è concentrata sull’oggi e sui grandi punti di domanda che l’entrata in Europa di un Paese che da sempre, storicamente e culturalmente, si è collocato naturaliter fuori, pone all’UE. L’abilità di Rosselli consiste nel toccare temi di portata storica enorme (si pensi ad es. alla caduta dell’Impero Ottomano, ai suoi riflessi sulla geopolitica post-Versailles o alle conseguenze su quell’altra realtà fondante per gli equilibri europei che era l’Impero Asburgico) tracciando una sintesi sempre chiara che si fa apprezzare anche per la sua oggettività espositiva.
L’Autore cioè, pur non nascondendo un suo punto di vista, fornisce al lettore dati, fatti, testimonianze che costruiscono quasi da sole la trama dell’opera. Fa parlare insomma la storia dei rapporti Turchia-Europa, una storia che analizzata oggi senza pregiudizi di parte sembra fornire, di per sé, una prospettiva piuttosto inquietante. Tre episodi su tutti: il massacro degli armeni cristiani (il primo genocidio di quello che Giovanni Paolo II chiamò il “secolo di Caino”), la persecuzione non meno cruenta del popolo curdo e l’annosa “questione cipriota” (la Turchia occupa da oltre 30 anni il nordest dell’isola, parte che detiene tuttora lo status di “territorio occupato”).
In nessuno dei tre casi sembrano registrarsi, al momento, significativi passi avanti sulla strada della conciliazione. Nel caso dell’orribile massacro del popolo armeno (una vera e propria pulizia etnica perpetratasi in più tempi che coinvolse complessivamente quasi un milione e mezzo di innocenti) il governo di Ankara non tollera che si dica pubblicamente alcunché ed è ben lungi dall’accettare una doverosa ammissione di colpe, supportando persino tesi “giustificazioniste” quando non addirittura apertamente negatorie dell’orribile misfatto.
In questo clima surreale quasi non sorprende che chi, come il giornalista Hrant Dink, si permetta di discutere la vulgata di Stato finisca morto ammazzato da 4 colpi di pistola nel centro di Istanbul come nulla fosse o che chi provi a pubblicare la Bibbia finisca sgozzato, come accaduto a Malatya a tre semplici impiegati della casa editrice Zirve. Analoga la situazione sul versante-curdo (i prigionieri politici detenuti nelle carceri turche sono da anni sottoposti a torture) dove anche le più elementari libertà vengono negate. Preoccupante infine l’accennata situazione di Cipro dove l’UE, se decidesse di proseguire l’iter per l’ingresso della Turchia in Europa, si troverebbe nell’imbarazzante situazione di sostenere uno Stato invasore di un attuale membro della Comunità approvando quindi de iure una illegale situazione de facto.
Restano poi ancora vive nella mente le immagini del martirio di Dink e quello del sacerdote italiano Don Andrea Santoro l’anno scorso (ricordiamo che anche il suo successore, padre Brunissen, è stato aggredito da un altro “squilibrato”). Più di tutto restano però i mille interrogativi di carattere culturale-religioso che Rosselli solleva lasciando poi al lettore il compito di continuare la ricerca.
Ci sembra insomma che il punto nodale sia quello che già un lungimirante pensatore ed uomo d’azione del secolo scorso, il brasiliano Plinio Correa de Oliveira (1908-1995), così aveva brillantemente esposto poco prima della sua scomparsa: “Una volta entrata in Europa, la Turchia si rivelerebbe una “barriera” contro il dilagante fondamentalismo islamico, o non piuttosto un comodo “ponte” per un islam proiettato alla conquista culturale e religiosa del Vecchio Continente che di fatto sembra avere abdicato alla propria civiltà?” (cit. in Rosselli, pag. 127).

Omar Ebrahime

http://www.corrieredelsud.it/site/modules/article/view.article.php?420

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