giovedì 16 ottobre 2008

Quando Hitler e Mao andavano a braccetto (Liberal, 16/10/2008)



Sogni e lacerazioni della destra italiana ai tempi del ’68

Quando Hitler e Mao andavano a braccetto

di Andrea Niccolò Strummiello


Mai come quest’anno - quarantennale del 1968 - abbiamo visto manifestarsi la cosiddetta egemonia culturale della sinistra. Pamphlet, documentari, conferenze, e nostalgiche ospitate nei salotti buoni della tivù: questo lo sfondo per celebrare quegli anni “formidabili”, gli anni, appunto, della contestazione globale. In netta controtendenza rispetto al filone nostalgico recentemente riesumato, e vestito a festa per l’occasione, sta invece il libro 1968. Le origini della contestazione globale, edito per i tipi delle Edizioni Solfanelli e scritto da Marco Iacona, già curatore di alcuni saggi per le politicamente scorrette Edizioni di Ar e collaboratore della Fondazione Julius Evola.

A fronte dell’enorme ripetitività e tendenza all’autocelebrazione che accomuna la lunga lista di libri che quest’anno hanno indagato, fin nei minimi dettagli, il 1968, primo merito del testo è proprio il suo essere intimamente controcorrente. L’autore, infatti, esprime l’idea d’una ricerca veramente alternativa, e al contempo rigorosa, di quei concitati mesi tra la fine del 1967 e l’inizio del 1968. Obiettivo è perciò quello d’indagare il ’68 “da destra”, sia perché prospettiva sicuramente meno nota al grande pubblico ma anche perché furono proprio quei mesi rivoluzionari a segnare all’interno di questa una rivolta nella rivolta, con conseguenze di non poco conto. Il Sessantotto fu perciò un anno fondamentale, non solo per il mondo giovanile in generale ma, anche e soprattutto per la stessa destra, al bivio tra il conservatorismo dei vertici del Msi e il tentativo di coniugare prospettive diverse, spesso inconciliabili, per cercare cioè di“cavalcare la tigre” - tanto per usare un’espressione dello stesso Evola, autore cult della destra radicale di quegli anni - di quei giorni rivoluzionari. Iacona è attento a seguire i rapidi eventi di quell’anno secondo una duplice prospettiva: quella di retroscena, quella cioè dell’Italia degli anni ’60 quale epicentro di una serie d’innovazioni socio-culturali, e quella più particolare e complessa del mondo universitario, già ampiamente politicizzato, effervescente microcosmo che avrebbe di lì a poco prodotto la rivolta studentesca, banco di prova dei ben più tragici anni di piombo.

Questo libro fa parlare i fatti, gli eventi e le citazioni, e non quella vulgata comune fatta di ricordi nostalgici e sentimentali, tipica di una certa sinistra revanscista un po’retrò e un po’ carente di motivazioni. Da questa impostazione d’indagine emerge nettamente la figura di una destra tutt’altro che distratta, tutt’altro che indifferente di fronte a quell’anno di rivoluzione ma, anche fortemente lacerata: da un lato a guardia del regime, con Almirante e i suoi picchiatori pronti a difendere lo status quo di un paese ancora fortemente cattolico e anti-comunista, dall’altro, sperimentatrice e utopica, soprattutto tra i più giovani, che non mancavano di vedere “Hitler e Mao, uniti nella lotta”. Così, sullo sfondo della Facoltà di Valle Giulia - teatro di una vera e propria battaglia campale tra polizia e universitari - si sarebbe consumato lo strappo all’interno del Movimento Studentesco tra i “rossi”e i“neri”, preannunciando quella che sarebbe stata, ben più tragicamente, la violenta quotidianità di tutti gli anni ’70 e oltre.
La rivolta di cui si parla è anche e soprattutto il segno ineluttabile della sconfitta di quei valori usciti vincitori dalla Seconda guerra mondiale nei cuori dei giovani di allora: mentre il mondo politico e la società civile faticosamente costruivano un mondo occidentale progressista e democratico, i suoi stessi ragazzi invocavano a gran voce schemi dittatoriali perché «educati al culto della rivoluzione, quella d’Ottobre da una parte e quella Fascista dall’altra», per dirla con le parole di Giano Accame, altro importante nome nel pensiero di destra, più volte citato nel libro. I figli cominciavano così, ribellandosi contro i valori dei padri, la lunga stagione della contestazione.

A conti fatti, come rileva giustamente Iacona, il ’68 non ha raggiunto dei veri e propri scopi politici, cioè pratici: non vi è stata soprattutto alcuna vera, radicale, riforma universitaria, come non vi è stato alcun disarmo globale, e la diffusione delle droghe non ha sortito gli effetti sperati di pacificazione mondiale. Nonostante questo, quell’anno fu determinante per la diffusione totalitaria e totalizzante d’un modernismo esasperato, in Italia come nel resto del mondo, nel costume come nella perdita del più naturale concetto di gerarchia, che tanto oggi si vorrebbe artificialmente trapiantare nelle scuole a suon di riforme. Pertanto, se oggi qualcuno vuole chiudersi nel rimpianto di non aver colto allora la fecondità, vera o presunta, di quel momento rivoluzionario, lo faccia anzitutto riconoscendo la mancanza d’una vera, profonda, ratio nella contestazione, ovvero d’una ragione che travalicasse il semplice prurito adolescenziale, o l’utopia politica. La “meglio gioventù” forse deve ancora arrivare.

Nessun commento:

Posta un commento